Nell’ambito della ricerca sul colore, pochi artisti hanno lasciato un segno nelle avanguardie del secondo Novecento quanto Yves Klein.
Nato a Nizza nel 1928 in una famiglia di artisti e morto di infarto a soli 34 anni, ha potuto esprimere la sua arte solo per sette anni, lasciando comunque al mondo una quantità impressionante di opere.
La prima passione nella vita dell’artista non fu però l’arte, ma il judo, cui si dedica con grande dedizione sin dall’adolescenza. A 24 anni intraprese un viaggio per il Giappone, dove frequentò l’Istituto di judo Kôdôkan. Nel 1953, divenne il primo francese a ottenere il grado di cintura nera quarto dan.
Il judo ebbe un’influenza enorme nel suo percorso artistico: da esso apprese una disciplina mentale e spirituale che sarebbe diventata parte di lui, e che avrebbe applicato a tutte le sue opere future.
Iniziò il suo percorso d’artista a metà degli anni Cinquanta, restando subito affascinato dagli studi sul colore e, in particolare, dalle monocromie:
“Sono giunto a dipingere il monocromo […] perché sempre di più davanti a un quadro, non importa se figurativo o non figurativo, provavo la sensazione che le linee e tutte le loro conseguenze, contorno, forme, prospettiva, componevano con molta precisione le sbarre della finestra di una prigione.”
Partecipò dunque alla sua prima mostra nel 1956. I suoi primi tentativi con le opere monocrome si concentravano su diverse sfumature di giallo, arancio e rosso, ma l’artista non era soddisfatto da questi risultati. Decise che, per raggiungere il suo scopo artistico, avrebbe dovuto concentrarsi solo su una particolare tonalità di un solo colore. La sua scelta ricadde infine sul blu oltremare.
Klein aveva un rapporto di amore viscerale con i colori. Faceva uso dei pigmenti senza alcun legante, per impedire che perdessero anche solo una minima parte della loro purezza. Era chiaro, dunque, che un blu qualsiasi non poteva essere sufficiente a esprimere la sua idea di monocromia. Decise perciò di iniziare a sperimentare per creare la sua particolare sfumatura di colore, che sarebbe poi diventata il suo marchio: l’International Klein Blue (IKB).
Per poter creare il suo blu, Klein collaborò con il titolare del colorificio “Adam” situato a Parigi, nel quartiere di Montparnasse. La storia di questo pigmento è raccontata, tra gli altri, da Teodoro Gilabert nel libro Blu K. – Storia di un artista e del suo colore tramite le parole dello stesso Édouard Adam: «Avevo un colorificio in Boulevard Quinet e ho visti artisti d’ogni genere passare dal mio negozio. Dai più convenzionali ai più estrosi. Yves Klein è stato l’unico con cui ho stabilito un’amicizia e una complicità professionale. Credo di aver avuto un ruolo chiave nell’avventura della monocromia. […] Un giorno mi chiese se potevo aiutarlo a trovare la miscela di una pittura blu luminosa, vellutata, particolarmente resistente. Aveva provato di tutto per legare il pigmento blu oltremare 1311 che comprava da me: la colla di pelle, l’olio di lino, la caseina … senza mai ottenere l’effetto desiderato. Allora mi sono lanciato in quella preparazione tutta blu, ma senza successo.
Ne parlai con un amico ingegnere, chimico da Rhône-Poulenc. Mi suggerì di provare una nuova resina che aveva appena messo a punto, la Rhodopas M60A. Poi, alla fine, venne a trafficare da noi. Abbiamo finito per trovare la miscela perfetta, ma non ho il permesso di rivelare la formula! Posso solo elencare i componenti essenziali: polvere d’oltremare 1311, Rhodopas, alcol 95% e acetato etilico. Per fortuna non basta conoscere gli ingredienti per diventare un grande cuoco.
Yves ha chiamato il colore IKB, International Klein Blu, il solito sbruffone. Detto questo, l’effetto era fantastico e la formula andava tutelata depositando il brevetto. Mi sarebbe piaciuto essere menzionato come co-inventore: senza di me, Yves non ci sarebbe arrivato. Ma lui era come tutti gli altri artisti: vengono da me in cerca di idee o di suggerimenti, poi mi dimenticano in un batter d’occhio. In questo caso però, con IKB, il prodotto era quasi il lavoro stesso, bastava spalmarlo. Ma non avevo avuto io l’idea, e ora vale milioni! ». ( T. Gilabert, Blu K. – Storia di un artista e del suo colore, 2014, Skira editore, pagg. 37,38 )
Oltre che per i suoi celebri dipinti monocromi, Klein sperimentò il suo blu su diverse forme d’arte, in particolare la scultura: celebri sono le sue rivisitazioni di opere classiche come la celebre Victoire de Samothrace o la Vénus bleu.
Quello che Yves Klein sperava di ottenere con la sua ricerca del colore era catturare il vuoto, la parte immateriale dell’esistenza, per renderlo tangibile. Il suo blu profondo, dal fascino quasi alieno, ha dimostrato come sia possibile fare arte grazie alla pura esperienza cromatica, senza l’uso della linea.
Poco prima di morire, Klein confidò a un amico: “Sto per entrare nel più grande atelier del mondo. E allora non creerò nient’altro che opere immateriali”.