Marrakech – La Città del Tadelakt

Marrakech occupa una posizione particolare all’interno del paesaggio marocchino: non è una città di confine, né un nodo di passaggio, ma un centro costruito per durare e per organizzare lo spazio intorno a sé. Fondata in un’area pianeggiante, lontana dalle coste e dai rilievi più marcati, ha dovuto definire la propria identità attraverso l’architettura e la gestione delle risorse, più che attraverso il contesto naturale.

In questo quadro, la materia diventa centrale. La città si sviluppa attorno a una gamma limitata di materiali come terra, calce, acqua, legno che vengono utilizzati in modo sistematico. Tra questi, il tadelakt assume un ruolo particolare: non come elemento decorativo, ma come soluzione tecnica capace di rispondere a esigenze precise di durata, impermeabilità e continuità delle superfici. A Marrakech, il Tadelakt non è confinato a un singolo tipo di spazio. Compare negli hammam, nelle abitazioni, nei cortili, nelle fontane e nei luoghi di rappresentanza. È parte integrante del modo in cui la città costruisce i suoi interni e gestisce il rapporto tra umidità, luce e temperatura. La sua presenza diffusa lo rende un vero e proprio linguaggio costruttivo, più che una finitura.

Il Tadelakt è il risultato di un sapere tecnico tramandato, adattato nel tempo alle esigenze della città e alla disponibilità dei materiali. La sua continuità non dipende dall’immobilità della forma, ma dalla ripetizione del gesto e dalla conoscenza delle sue regole. Marrakech diventa così il luogo in cui il tadelakt trova il suo contesto più completo: non come eccezione, ma come sistema. Una città in cui la superficie costruita non è un rivestimento, ma una parte attiva dell’architettura, capace di unire funzione, materia e uso quotidiano.

Origine e Storia di Marrakech

Marrakech nasce come progetto politico prima ancora che come città “naturale”. Le fonti più solide collocano la fondazione in età almoravide, tra 1070 e 1072, quando la dinastia sceglie questa piana ai piedi dell’Alto Atlante per farne un centro stabile di governo e controllo delle rotte interne. Nella storiografia più ampia sul mondo almoravide, la data 1062 ricorre spesso come riferimento per l’avvio della capitale almoravide a Marrakech: è un’indicazione diffusa, ma va letta insieme alle cronologie che parlano di fondazione tra 1070–72. 

La Torre della Moschea di Kutubiyya, Marrakech

La Torre della Moschea di Kutubiyya, Marrakech

Il primo ciclo urbano importante è proprio almoravide: definizione dell’impianto, gestione dell’acqua, prime grandi strutture. Poi arriva la svolta almohade: Marrakech diventa capitale almohade e la città viene riorganizzata in modo monumentale, con interventi che ancora oggi aiutano a leggere la gerarchia degli spazi. Il simbolo più riconoscibile è la Kutubiyya, avviata dopo la conquista almohade del 1147: una prima moschea e una ricostruzione successiva (datata a partire dalla metà del XII secolo), con il minareto completato più tardi. È un riferimento utile anche per le fotografie: la Kutubiyya non è solo “bella”, è un punto di orientamento urbano e un indicatore del ruolo di Marrakech come capitale.

Tra XVI e inizi XVII secolo si apre il capitolo sa’diano, spesso quello più fotogenico ma anche quello più utile per capire come la città usa le arti: non come ornamento isolato, ma come programma completo. La Madrasa Ben Youssef, nella forma che conosciamo oggi, viene completata nel 1564–1565 per volontà del sultano sa’diano ʿAbdallāh al-Ghālib: legno di cedro, stucco scolpito, zellige, proporzioni rigorose. Pochi decenni dopo, Ahmad al-Mansur avvia grandi cantieri di rappresentanza: tra i più importanti El Badi, iniziato nel 1578 e completato nel 1593 (poi spogliato e in parte demolito in epoca successiva). Nello stesso clima rientrano le Tombe Sa’diane, legate soprattutto al regno di Ahmad al-Mansur (fine XVI secolo), con decorazioni interne tra le più studiate della Marrakech sa’diana.

Palazzo El Badi, Marrakech

Palazzo El Badi, Marrakech

Sulle date “esatte” di nascita della tecnica del Tadelakt è difficile essere chirurgici, perché la tecnica è una pratica di cantiere tramandata e raramente firmata. Le prime attestazioni certificate dell’uso di intonaci impermeabili a base di calce, riconducibili alla tecnica del tadelakt, si collocano nei complessi termali e negli ambienti umidi di Marrakech già in epoca almoravide (XI-XII secolo). Hammam e spazi di servizio legati alle grandi moschee mostrano come, fin dalle origini della città, fosse necessario sviluppare superfici continue, resistenti all’acqua e durevoli nel tempo.

L’Identità della Città Rossa del Marocco

L’identità di Marrakech è legata in modo diretto al colore della sua terra. Il rosso che definisce la città non è un segno imposto, ma il risultato di una continuità materiale: l’ocra rosso marocchino presente nel suolo viene mescolata alla calce per proteggere e uniformare le superfici, dando origine a quella tonalità calda che nel tempo è diventata parte integrante del paesaggio urbano. Non si tratta di una scelta estetica, ma di una conseguenza pratica, radicata nella disponibilità delle materie prime e nella loro resa nel clima locale. Questo uso costante dell’ocra ha costruito un’immagine riconoscibile, ma soprattutto ha consolidato un modo di lavorare la materia.

Vista di Marrakech e il suo tipico rosso

Vista di Marrakech dove si apprezza il suo tipico rosso

A differenza di altre città marocchine che nel tempo hanno integrato linguaggi più moderni o sistemi costruttivi esterni, Marrakech ha mantenuto una forte continuità nelle pratiche materiali. Questo non significa immobilità, ma una scelta consapevole di preservare tecniche che funzionano. Gli artigiani locali, in particolare quelli legati alle lavorazioni della calce, tendono a trasmettere il sapere in modo diretto, spesso all’interno della stessa famiglia o bottega, mantenendo un controllo attento sui gesti e sui tempi di esecuzione.

In questo senso, la città mostra una certa resistenza all’omologazione. Pur essendo uno dei luoghi più attraversati e osservati del Marocco, conserva una relazione stretta con i propri materiali. Le tecniche non vengono adattate per rispondere a una domanda esterna, ma continuano a essere praticate secondo logiche interne, legate all’esperienza e alla consuetudine. Marrakech diventa così un luogo in cui la materia non è solo supporto, ma memoria attiva. L’ocra, la calce, il legno e l’acqua non sono elementi decorativi, ma strumenti di continuità. È in questa fedeltà al proprio modo di costruire che la città mantiene una identità riconoscibile, capace di accogliere influenze senza perdere la propria struttura profonda.

La Città Dove Nasce il Tadelakt

Il termine Tadelakt deriva dal verbo arabo dalaka, che significa “strofinare”, “lucidare”. Il nome stesso descrive il gesto centrale della tecnica: un’azione ripetuta e controllata che trasforma una semplice superficie di calce in uno strato compatto, resistente e impermeabile. Non indica un materiale, ma un processo, un modo di lavorare la materia attraverso il tempo e la pressione.

Questa tecnica si sviluppa in un territorio preciso, dove le condizioni naturali rendono possibile la sua esistenza. Marrakech si trova ai margini dell’Alto Atlante, una catena montuosa che fornisce da secoli le risorse fondamentali per l’edilizia tradizionale della regione. Le montagne offrono pietre calcaree adatte alla produzione della celebre Calce di Marrakech, rocce dure dai letti dei fiumi utilizzate come strumenti di levigatura e un sistema idrico alimentato da corsi d’acqua stagionali, indispensabili per la lavorazione e la maturazione dei materiali.

Dall’Atlante proviene anche il legno di cedro, utilizzato spesso per strutture e coperture ed anche per la produzione del tipico frattazzo in legno indispensabile nella tecnica del Tadelakt, mentre le pianure circostanti ospitano da secoli uliveti da cui si ricava l’olio necessario alla produzione del sapone nero. È proprio questo sapone, mescolato alla calce durante la fase finale di lavorazione, a rendere il tadelakt impermeabile e resistente all’acqua.

La diffusione del Tadelakt all’interno della città segue una logica precisa. Nei contesti più antichi, compare in modo sobrio, spesso limitato alle zone più esposte all’umidità. Nei riad e nelle abitazioni tradizionali, diventa parte di un linguaggio costruttivo coerente, in cui pavimenti, pareti e bacini dialogano senza soluzione di continuità. Non è un rivestimento aggiunto, ma una pelle che accompagna l’architettura nel tempo. Ciò che distingue Marrakech da altri luoghi è la continuità della pratica. Qui il tadelakt non è mai scomparso del tutto, nemmeno nei periodi in cui altre tecniche tradizionali venivano abbandonate o semplificate. Gli artigiani hanno continuato a trasmettere il sapere attraverso il lavoro diretto, mantenendo un controllo rigoroso sui materiali, sui tempi di posa e sulle fasi di lucidatura. Questo ha permesso alla tecnica di rimanere viva, adattandosi senza perdere coerenza.

Vista sulla Valle dell'Atlante fuori Marrakech

Vista sulla Valle dell’Atlante fuori Marrakech

A partire dalla fine del Novecento, il tadelakt inizia a essere osservato e reinterpretato anche fuori dal Marocco. Architetti e progettisti ne riscoprono le qualità materiche, la capacità di creare superfici continue e la sua resistenza all’umidità. In molti contesti viene adottato come alternativa ai rivestimenti industriali, spesso però semplificato o adattato a sistemi costruttivi diversi da quelli originari. Questa diffusione internazionale ha contribuito a rendere il Tadelakt un linguaggio riconoscibile, ma ha anche accentuato la differenza tra la tecnica tradizionale e le sue reinterpretazioni contemporanee. A Marrakech, il tadelakt resta legato a una filiera precisa: materiali locali, tempi lenti, gesti ripetuti. Altrove diventa spesso un effetto, una superficie ispirata più che un processo completo. In questo senso, la città continua a rappresentare un riferimento essenziale. Non tanto come modello da imitare, perché tante volte il tadelakt è realizzato in modo sommario e frettoloso, ma come luogo in cui conserva il suo significato originario: una tecnica nata dall’incontro tra materia, clima e sapere artigiano, capace di adattarsi senza perdere la propria identità.

Il Lussoso Resort Amanjena con esterni in Tadelakt

Il Lussoso Resort Amanjena con esterni in Tadelakt

Negli ultimi decenni, questa continuità si è manifestata anche in contesti contemporanei di Marrakech, dove il tadelakt viene scelto non come citazione formale, ma come materiale capace di mantenere un legame diretto con la tradizione costruttiva della città. Alcuni riad privati e strutture ricettive di alto livello hanno deciso di affidarsi a maestranze locali proprio per preservare questa coerenza. In interventi come quelli realizzati nel Riad della famiglia Bulgari o nel Riad di Serge Lutens, o in complessi alberghieri lussuosi come l’Amanjena, il Royal Mansour e La Mamounia, il Tadelakt compare in pareti, bagni e spazi di transizione, mantenendo la sua funzione originaria di superficie continua, resistente e profondamente materica. Anche progetti più recenti, come alcune aree del complesso alberghiero cinque stelle Pestana di proprietà di Cristiano Ronaldo o gli spazi interni del riad El Fenn, mostrano come questa tecnica venga ancora oggi applicata seguendo processi tradizionali, pur inserendosi in architetture contemporanee.

La Città Custode della Tecnica del Tadelakt

Attraverso città diverse per geografia, clima e storia, emerge un filo comune che non riguarda lo stile, ma il modo di costruire. Da Essaouira a Fès, da Safi a Tiznit, da Aït Benhaddou a Tafraoute, ogni luogo sviluppa una relazione specifica con la propria materia. Ma se nelle altre città il sapere artigiano emerge come risposta a un materiale specifico, a Marrakech prende forma come sistema. Qui non si tratta di una tecnica isolata né di una tradizione conservata per nostalgia, ma di un modo di costruire che si è consolidato perché funziona. Il tadelakt ne è l’espressione più chiara: una pratica che unisce materia, gesto e tempo, e che continua a essere utilizzata perché risponde ancora alle esigenze dello spazio e del clima. A differenza di altri contesti, dove le tecniche vengono oggi riproposte come citazione o recupero, a Marrakech il Tadelakt non ha mai smesso di essere parte della costruzione ordinaria. È questo che ne spiega la coerenza e la durata. Non è diventato simbolo, ma strumento; non decorazione, ma superficie abitabile.